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Roma, Camera dei deputati, 10 aprile 2003
NORME SULLA LIBERTA’ RELIGIOSA
Intervento di Marco Boato alla Camera dei deputati nella seduta di giovedì 10 aprile 2003

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor relatore, colleghi deputati, è molto importante che oggi, 10 aprile 2003, siamo finalmente riusciti ad incardinare in Assemblea la discussione generale di questo disegno di legge in materia di libertà di coscienza, di libertà religiosa e di (conseguente) abrogazione della legislazione fascista del 1929 sui culti ammessi tuttora vigente.

È un po' paradossale, però, lo dico con tono pacato, ma esplicitamente polemico, che ciò sia avvenuto sulla base di reiterate richieste delle forze dell'opposizione - le quali tengono all'approvazione di questo provvedimento e, coerentemente, dimostrano al riguardo un atteggiamento assolutamente positivo e costruttivo - a fronte di resistenze manifestate, in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, da parte di alcune forze della maggioranza.

Sono pervenuti al nostro esame tre progetti di legge abbinati: un disegno di legge d'iniziativa del Governo e due proposte di legge, una d'iniziativa del collega Spini e di altri, un'altra di iniziativa del deputato Molinari. In particolare, il disegno di legge del Governo reca le firme di Berlusconi, Scajola (allora ministro dell'interno), Prestigiacomo, Martino, Castelli (ministro della Lega), Moratti, Sirchia, Maroni (altro ministro della Lega), Buttiglione e Tremonti: mezzo Governo ha firmato questo disegno di legge! Ciò costituisce un fatto positivo - un fatto positivo - come ha ben rilevato il collega Bondi, relatore, le cui considerazioni ho molto apprezzato sia in Commissione, molti mesi fa, sia qui in Assemblea stamani.

Ebbene, malgrado mezzo Governo abbia sottoscritto il disegno di legge, per molti e molti mesi, da quando abbiamo iniziato l'esame in sede referente, nel maggio del 2002 - siamo arrivati ad aprile del 2003! -, ci siamo trovati di fronte ad un dichiarato ostruzionismo da parte di uno dei gruppi della maggioranza, la Lega nord Padania, che pure vanta due ministri tra i sottoscrittori del disegno di legge. A tale proposito, ricordo che, in occasione del cosiddetto decreto Biondi, ai tempi del primo Governo Berlusconi, il ministro dell'interno dell'epoca, Maroni, dichiarò che non aveva letto il testo, che pure aveva firmato: quel provvedimento, come ricorderete, diede luogo ad una particolare vicenda con il Colle, dopodiché fu ritirato. Comunque, un ministro dell'interno del Governo aveva sottoscritto un provvedimento che non aveva letto (così dichiaro: che non aveva capito se l'aveva letto). Mi auguro che non sia successa la stessa cosa in questo caso perché stavolta i ministri sono due: uno è lo stesso, sia pure in veste diversa, l'altro è addirittura il ministro della giustizia (com'è giusto che sia in questa materia).

Quindi, è francamente sconcertante quanto sta avvenendo in questi mesi su una materia così importante e decisiva, come molto bene ha fatto rilevare, poco fa, il relatore Bondi e come si evince, del resto, dalla lettura del testo. È sconcertante che un disegno di legge del Governo abbia suscitato l'ostruzionismo di un gruppo della maggioranza i cui rappresentanti al Governo hanno firmato il disegno di legge e che a chiedere insistentemente che il provvedimento giungesse all'esame dell'Assemblea siano stati i gruppi dell'opposizione!

Bene ha fatto il collega Bondi, poco fa, a richiamarsi al testo costituzionale. Questo è un disegno di legge ordinario che, tuttavia, in qualche modo, finalmente, sia pure tardivamente, attua la nostra Costituzione.

Non in contrasto, ma semplicemente a complemento di ciò che è stato detto, vorrei ricordare il quadro costituzionale nell'ambito del quale, sotto il profilo dell'attuazione, si colloca, giustamente, questo disegno di legge. L'articolo 3, che è già stato citato, stabilisce: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Il successivo articolo 8 stabilisce: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».

Questo è l'articolo 8. Aggiungo - ce lo ha citato giustamente ripetutamente il presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Conso, uomo di grandissimo profilo giuridico (non voglio dargli etichette, lo conosco e lo stimo da molti anni, potrei definirlo un cattolico liberale, come impostazione culturale) - l'articolo 10: l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Perché in quelle norme, in quelle convenzioni internazionali, sono ricompresi quei diritti a cui fa riferimento giustamente questo testo di legge. L'articolo 18, che non riguarda specificatamente la libertà religiosa ma quella di associazione: i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. L'articolo 19, che giustamente il relatore ha ricordato: tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda, e di esercitare in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. L'articolo 20: il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività. L'articolo 21, anche questo, come l'articolo 18 sulla libertà di associazione, riguarda tutti gli aspetti, non soltanto quello della libertà di coscienza e di religione, ma, appunto per questo, è molto importante: tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Presidente, colleghi, io ho letto un testo, la nostra Costituzione vigente, che è stato scritto nel 1947 in questa Assemblea e che è entrato in vigore il 1o gennaio del 1948. A leggere ad alta voce, a rileggere a questo testo sembra - e non sembra soltanto, ahimé! - che i nostri padri costituenti, alcuni quali giustamente Bondi ha citato, avessero idee molto più aperte, molto più avanzate, molte più coerenti con la concezione liberal democratica dello Stato di diritto che non alcuni nostri colleghi nell'anno di grazia 2003.

Abbiamo risentito in Commissione - e temo che risentiremo questa mattina anche in quest'aula (ovviamente ascolteremo con attenzione) - toni, atteggiamenti, impostazioni culturali che, per un credente come sono io, al pari credo del collega Bondi, sono semplicemente e banalmente preconciliari. Ma non è questo che rileva in quest'Assemblea, anche se lei è stato «costretto» a citare Papa Giovanni Paolo II, a citare la dichiarazione sulle libertà religiose del Concilio Vaticano II, che anch'io apprezzo moltissimo, la dignitatis humanae, l'enciclica nostra aetate, a citare le dichiarazioni del rappresentante della Conferenza episcopale italiano.

Tutto questo è giusto, ed è apprezzabile che il relatore lo abbia fatto, ma è paradossale che noi, nell'Assemblea della Camera dei deputati, in un'aula laica, quindi, anche per i credenti, di un Parlamento e di uno Stato costituzionale di diritto, per avvalorare la giustizia di un disegno di legge che vede una convergenza tra maggioranza ed opposizione (perché si tratta dell'attuazione degli articoli della Costituzione che ho ricordato), siamo costretti - lei sia stato costretto, ma mi associo a questo (non la sto criticando ma sto rilevando l'aspetto paradossale) - a citare l'autorità del pontefice che ha parlato il 14 novembre scorso in quest'Assemblea, a citare i testi conciliari, a citare le encicliche papali. È paradossale, perché questo vuol dire che, per convincere qualcuno - e non lo convinceremo, ci scontreremo, collega Bondi, purtroppo lei l'ha già visto; non noi due, ma ci scontreremo con chi non vuole questo provvedimento - , dobbiamo ricordare ai colleghi che, in nome di una concezione integralista, intollerante, io dico anche evangelica, della stessa religione cristiana, nella quale io stesso come fede mi riconosco (ma qui parlo da laico), siamo costretti a citare i testi del Pontefice, i testi del Concilio Vaticano II, i testi della Conferenza episcopale italiana. Bene, quei testi sono positivi, li condivido, è bene che risultino anche nel resoconto stenografico della nostra discussione, ma è francamente paradossale. Io non ho molto tempo e quindi so che devo concludere, Presidente.

PRESIDENTE. Non ne ha proprio più, onorevole Boato, però le lascio ancora un po' di tempo.

MARCO BOATO. Cerco di concludere brevemente. Evidentemente, non sono andato negli aspetti tecnico-giuridici che pure sono importantissimi.

Io solleverei soltanto un problema, per quanto concerne quanto ho sentito citare, ed è la questione della cosiddetta reciprocità. La reciprocità esiste per molti aspetti, e noi dobbiamo batterci affinché la libertà religiosa sia rispettata in tutto il mondo, e dunque anche nei paesi integralisti dell'altro versante (in questo caso, i musulmani, e non tutti per fortuna), in cui la libertà religiosa non è rispettata. Ma noi in Italia non abbiamo questo vincolo per attuare i principi costituzionali, ed abbiamo il dovere di attuare sia l'articolo 3 della Costituzione, sia tutti gli altri che ho citato, a prescindere da ciò che avvenga di negativo e di condannabile - ed è giusto condannarlo ed è altresì giusto battersi affinché cambino le stazioni - in quei paesi.

Noi abbiamo un dovere rispetto alla nostra coscienza, al nostro ordinamento costituzionale e ai patti internazionali che abbiamo liberamente sottoscritto. È questa la ragione per cui mi dispiace che il testo del provvedimento, nel corso dell'esame in sede referente, anche se ha subito alcune modifiche positive, abbia prevalentemente subito modifiche di carattere restrittivo, basate su una sorta di paranoia della cultura del sospetto. Mi dispiace che ciò sia avvenuto, tuttavia ho voluto personalmente mantenere un atteggiamento di dialogo e di confronto, poiché attribuisco più importanza all'impianto complessivo di questo disegno di legge che a un singolo aspetto - che si può ancora correggere -, frutto di un'obiettiva situazione - signor Presidente, non voglio offendere nessuno - di «ricatto».

Infatti, se dal maggio dell'anno scorso il provvedimento è arrivato in aula il 10 aprile di quest'anno, ciò è avvenuto perché vi è stato un ricatto all'interno della Commissione affari costituzionali, che ha costretto, con molta correttezza, da ultimo, il presidente della Commissione ad applicare quei criteri che obbligassero la I Commissione a varare un testo, altrimenti ciò non sarebbe avvenuto.

Do atto pubblicamente della sua correttezza, ma intendo denunciare questo ricatto che si è verificato e la necessità di non impedire quel largo confronto tra maggioranza e opposizione che è giusto avvenga su un tema fondamentale per lo Stato costituzionale e di diritto. Tale confronto può avere luogo, e può portarci tutti insieme, a larghissima maggioranza, a votare questo provvedimento, anche se c'è chi ha interesse ad impedire ciò, e manifesterà il suo intento anche in quest'aula. Noi abbiamo il dovere di battere il disegno ostruzionistico di coloro che vogliono impedire l'approvazione di questo provvedimento, che riguarda i principi fondamentali della dignità della persona, e dunque, laicamente e liberamente, con il confronto ed il rispetto reciproco, abbiamo il dovere di proseguire il lavoro che abbiamo iniziato.

Concludo il mio intervento ringraziando il relatore, il presidente della I Commissione e tutti i colleghi che hanno partecipato al lavoro positivo che finora abbiamo svolto.

 

  Marco Boato

MARCO BOATO

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